Cosa sono le società benefit e i rischi di greenwashing

Società benefit

Cosa sono le società benefit? In Italia sta crescendo questo nuovo modo di fare impresa: lo dimostra la più recente trasformazione di Eni Luce e Gas in Plenitude. Le società benefit sono aziende il cui obiettivo non è solo il profitto, ma che operano anche per il bene pubblico. Eppure il “trucco” a volte è dietro l’angolo, e prende il nome di greenwashing.

Qual è la legge “tutta italiana” sulle società benefit

L’Italia è stata la capofila europea nella creazione di una legislazione sulle società benefit. Lo ha fatto con la legge n°208 del 28 dicembre 2015 (articolo 1, commi da 376 a 384). Questo ha introdotto un modo di approcciarsi all’imprenditoria con una visione più ampia, perché non si parla più soltanto di utili, ma anche (e soprattutto) di influsso dell’azienda sul territorio e la società.

Vi può rientrare un qualsiasi tipo di impresa, anche le startup, indipendentemente dal settore. Il patto è quello di non perdere di vista la propria “promessa” societaria, che sia per le persone o per il pianeta (o entrambi, di fatto), e si mantenga il vincolo di trasparenza.

Questo perché, in caso di inadempimento degli obblighi previsti dalla legge 208, viene applicato quanto disposto dal Codice Civile in tema di responsabilità degli amministratori.

Il valore condiviso: chiave di lettura del “benefit”

Per capire davvero in cosa consista il “benefit” di questo genere di società, bisogna considerare il concetto di valore condiviso. Oltre ad avere un profitto economico, ogni azienda di questo genere di fatto crea valore sul territorio in cui opera. E, come già visto, questo va tutelato da possibili inadempimenti.

Cos’è la Relazione di Impatto annuale

Ogni anno, inoltre, le società benefit devono impegnarsi a redigere quella che prende il nome di Relazione di Impatto. Si tratta di un documento che va associato al bilancio, ma non solo. Va infatti pubblicata di volta in volta sul sito aziendale, in modo tale da rispettare quel dato di trasparenza necessario perché la società venga considerata benefit.

Il documento deve contenere una parte più descrittiva ed una quantitativa, ovvero la cosiddetta valutazione dell’impatto. La valutazione deve essere fornita da un ente terzo che non abbia legami con la società, in modo tale da essere credibile e oggettivo.

Se si cerca su internet “relazione di impatto” si troveranno tutti i documenti redatti dalle varie imprese italiane che sono tenute a scriverla e pubblicarla. Un esempio può essere quello di Aboca.

La differenza tra B-Corp americana e società benefit

Talora si parla indistintamente di società benefit e B-Corp. In realtà tra le due vi sono alcune differenze, che andrebbero prese in considerazione per correttezza. Le B-Corp, infatti, sono imprese che per essere tali devono soddisfare dei requisiti certificabili da un ente governativo statunitense, il B-Lab, con una misurazione sulla base dello standard B-Impact Assessment.

Le società benefit, come le B-Corp, devono essere valutate da enti terzi (incluso il B-Lab, volendo), ma si impegnano anche a livello giuridico (nelle figure di soci e governance) a rispettare il loro impegno. E lo fanno per un tempo più lungo rispetto alle B-Corp, che invece possono essere temporanee.

Quali sono le società benefit italiane oggi

Ad oggi ci sono più di 1000 società benefit in Italia, di cui si può trovare una lista sul sito di B Lab ed Assobenefit. Gli esempi che si possono vedere, come la già citata “neonata” (o, per meglio dire, neoconvertita) Plenitude, vengono da diversi settori, e non solo da quello energetico. Un esempio è IllyCaffè, che opera nel settore delle bevande, o Panino Giusto per gli alimentari. O ancora SavetheDuck per l’abbigliamento e 24 Bottles per l’oggettistica.

Ma anche nomi come Zordan, che si occupa si lavorazione e commercializzazione del legno, e il cui “benefit” sociale consiste nell’impegno nel riutilizzare i materiali di scarto, l’utilizzo di fonti rinnovabili e il lavoro per creare un ambiente lavorativo di formazione continua e conciliazione del tempo lavoro-famiglia.

Il problema del greenwashing

Tutto bello, a parole. Chiaramente chi si impegna in questo genere di impresa ha degli obblighi, come abbiamo già visto, ma questo non vuol dire che non sia possibile continuare a promettere cose che, in realtà, non si fanno (o, quantomeno, non del tutto).

Un esempio è il recente caso dei colossi Coca-Cola, Adidas e Ryanair, che avevano promesso di portare avanti politiche “green”, senza poi davvero farlo.

Ma senza andare molto lontano: Greenpeace lo scorso primo maggio ha protestato proprio contro Eni. Secondo uno studio, infatti, fino il 36% degli annunci “verdi” di Eni sono falsi, mentre un altro 16% propone false soluzioni. Perché le azioni sostenibili possono esserci, ma nel marketing ambiguo spesso non c’è alcun benefit.